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25 Maggio 2022Il titolo, citando il noto film di Hiller, è una frase, parafrasata, che sento spesso durante i primi incontri con le coppie. Spesso infatti le persone arrivano a tacere e tacersi perché prevedono già che dall’altra parte non ci sia ascolto, comprensione e tantomeno ascoltano in maniera efficace ciò che l’altro dice, sentendosi feriti anche quando il discorso non è un vero attacco ma una semplice constatazione.
Prendiamo ad esempio la frase “ogni volta che esce rimango a casa preoccupato perché non so dove sia e se stia bene”: chiaramente nasconde potenzialmente altro; bisogno di controllo, sfiducia, ecc. dall’altra parte la risposta che emerge può essere “ecco, io quando esci non faccio tutte queste storie, mi fido e ti lascio vivere”…e avanti così, in un circolo vizioso dove ad un certo punto prevale il silenzio e un atteggiamento ostile come se l’altro fosse pronto in ogni istante all’attacco…e forse è davvero così.
Ascoltare è un processo attivo
Quando ascoltiamo, spesso, siamo immersi in un mondo in cui le parole dell’altro rimandano a noi una serie di emozioni; tali parole attivano paure che non ci permettono di ascoltare il testo, ma ci focalizzano sull’interpretazione del messaggi. A volte l’interpretazione è così forte da non tenere in minima considerazione l’altro; l’altro scompare e diventa un’estensione di noi, delle nostre paure e dei nostri giudizi.
Questo tipo di ascolto può essere visto come passivo, un ascolto che si orienta al subire delle emozioni che ci colpiscono, si attivano, attraverso le parole dell’altro, dove non c’è un reale impegno nel comprendere le istanze del partner, ma una forte attenzione a difendersi…e questo è tanto comprensibile quanto pericoloso.
Per processo attivo preferisco, invece, intendere un ascolto dove rimango in ascolto dell’altro nel tentativo di comprendere il testo (prendere-con l’altro, sentire le parole dette senza aggiungerci niente di mio, ma cercando di capire cosa intenda e lascia trasparire) per rielaborare quel testo in maniera comprensibile per me, sospendendo il giudizio.
Questo tipo di ascolto è apparentemente complesso; inizialmente è faticoso, in quanto implica che io mi chieda “ho capito cosa ha detto” piuttosto che “ho capito cosa vuol dirmi”, dove io sono ricettivo alle emozioni trasmesse dall’altro sottoforma di parole e non alle emozioni che si attivano dentro di me.
Sulla responsabilità
A me piace portare le persone a vedere il modo di comunicare come responsabilità personale, come modo di prendersi cura di sé e dell’altro senza doversi accollare la responsabilità altrui o delegando la propria. Cosa vuol dire? Semplicemente facciamo attenzione al nostro sentire, quando siamo all’interno di un discorso che sentiamo Nostro, identitario, (ciò che sento mio e solo mio) ci stiamo assumendo la responsabilità dei nostri pensieri, azioni, parole, e non stiamo delegando ad altri un pensiero su di noi.
Quando invece cominciamo a provare un senso di pesantezza, di rabbia, di sconforto, spesso emerge come ci si stia prendendo carico di responsabilità dell’altro (campo dove non posso agire io, ma vorrei che agisse l’altro attraverso le mie parole, minacce, ecc.) o dove si stia cercando di far fare ad altri ciò che potrei/dovrei fare io (ad esempio “era così chiaro quello che volessi, ma sembrava non capirlo, non faceva come volevo, e questo mi faceva arrabbiare”).
Prendersi e curarsi della propria responsabilità è ascoltare ed ascoltarsi, è fare attenzione a dove posso agire; è rendersi attivi nel fare ciò che IO posso fare/dire, senza attendersi azioni o parole dagli altri che siano in linea con i nostri desideri.
Spesso sento dire “io non dovrei nemmeno dirlo, dovrebbe capirlo da solo”…ma come fa a capirlo se non è mai stato detto? Come fa una persona a comprendere l’errore se dall’altra parte c’è una rabbia che non viene spiegata e che non ha apparentemente motivazioni? So che qui molti dissentiranno, pensando “se una persona mi conosce/ama, dovrebbe capirmi al volo”…ma accade solo se c’è stata una fase di chiarezza e “divisione di responsabilità” ben compiuta!
Come intervenire
Una metodologia utile per intervenire su questo aspetto la chiameremo “spazio di ascolto” o “momento di sfogo”; consiste nel trovare un momento, ogni giorno, per poter esprimere i propri pensieri, emozioni, frustrazioni, in prima persona, quindi senza accuse, che diventino momenti di estrema intimità emotiva dove possiamo sentirci autorizzati a dire quasi qualsiasi cosa all’altro.
In questo momento, focalizzarsi sul “ho davvero capito cos’ha detto l’altro” dev’essere diverso dal “ho capito cosa vuole dirmi l’altro” in quanto non ci dovrà essere una interpretazione delle parole, ma una comprensione di cosa l’altro dice nel tentativo di capirsi e parlare delle stesse cose (o quasi) in maniera comprensibile senza ricorrere alla difesa o all’attacco.
Cosa ho visto in questi momenti? Sinceramente cose molto interessanti. Coppie dirsi “ah, ma allora quando dici che non vuoi baciarmi non è in generale, ma in quel momento…ed io che poi non ho più provato a farlo e ti vedevo arrabbiarti sempre di più” oppure “adesso ho capito che quando lei dice che perdona intende quello che io definisco accettare, mentre io intendo perdono quello che lei intende dimenticare”.
Come strutturarlo
Il consiglio che do io, dopo averlo provato in diverse versioni, è il seguente:
- trovare 20 minuti (minimo) che permettano ad entrambi di essere tranquilli e non preoccupati per ciò che deve avvenire di lì a breve;
- inizia il primo e prova a dire in 5 minuti tutto ciò che non ha detto o non ha voluto dire nella giornata; e ciò facendo riferimento a ciò che ha provato e alla situazione oggettiva;
- l’altro ascolta senza intervenire, quando l’altro ha finito non interviene, ma inizia dicendo quello che ha accumulato nella giornata, impiegando lo stesso tempo;
- quando entrambi si sono espressi, l’ultima persona che ha parlato riporta quello che ha capito del resoconto dell’altro; lo farà senza giudicare, ma semplicemente dimostrando all’altro di aver capito quello ha detto;
- poi tocca all’altro membro della coppia dare la restituzione di ciò che ha capito;
Il tutto è scandito in momenti da 5 minuti, che possono rivelarsi davvero molto pochi…dopo i primi tentativi dovreste aver capito qual è il tempo necessario per voi per poter completare racconto e restituzione (alcuni necessitano di un’ora o più, raramente servono meno di 20 minuti).
Effetti attesi
Dopo una interazione di questo tipo dovreste aver capito che ascoltare non è semplice; la tentazione di intervenire, correggere e accusare/difendersi, è molto forte, ma essendo vietato dal compito vi permetterà di ascoltare in maniera più attenta.
Spesso quando si restituisce il messaggio espresso dall’altro si utilizzano parole proprie; può capitare di accorgersi che, come lo intendeva l’altro, non è come lo riportiamo noi…se invece non avviene vuol dire comunque che siamo stati molto attenti e probabilmente è più chiaro anche a noi cosa l’altro volesse dire.
Se ripetuto permette alle coppie di comprendersi meglio, di fidarsi dell’altro e di avvicinarsi allo stato del “non serve che lo dica” per capirsi.