Dagli stereotipi di genere alla violenza sulle donne
Da molti anni si parla di violenza di genere, intendendo uomini che agiscono violenza sulle donne perché donne. E’ una piaga che nasce come reazione al reclamo del diritto delle donne ad essere considerate sullo stesso piano degli uomini. Ha radici antiche, ma solo recentemente è stata messa sotto i riflettori.
CENNI STORICI
Per arrivare alla Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne (1993), alla Convenzione sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e la violenza domestica (La “convenzione di Istanbul” del consiglio d’Europa del 2011) e al decreto legge n. 93 del 2013 e successivi in Italia, siamo passati attraverso una rivoluzione sociale che getta le sue basi sin dai primi movimenti femministi a cavallo tra ‘700 e ‘800.
Da allora si è poi passati attraverso il movimento femminista degli anni ’60, dove si è dichiarato il diritto delle donne ad essere considerate “uguali” agli uomini, con le stesse possibilità, diritti e doveri. I successivi movimenti del secondo, terzo femminismo e del post-femminismo hanno portato alla consapevolezza di come la libertà della donna non passasse attraverso una “parificazione” ma tramite una valorizzazione delle differenze (e uguaglianze) che però non riguardano più solo la sessualità genetica, ma il fatto di essere umani con propri modi di agire e patire nel mondo, permettendo di reclamare i propri diritti in base alle proprie propensioni personali.
Lo scopo di queste azioni è stato quello di cambiare la visione fallocentrica tipica di molte culture (tra cui la nostra), ed ha richiesto il sacrificio di molte persone per avviare questo cambiamento epocale.
Molti passi in avanti, ma molti ancora da fare.
L’ESPERIENZA DELL’UOMO
Questo scenario ha posto il maschio in un nuovo orizzonte di senso, cosa che spesso non si riesce a cogliere nella sua globalità.
Innanzitutto c’è stata una perdita di ruolo e potere che ha portato ad affrontare una nuova paura, quella di non avere il controllo su un’organizzazione sociale radicata in maniera profonda. C’è un universo di stereotipi di genere (la donna “massaia”, sempre disponibile, fragile, emotiva, ecc) che persiste e trova forza nella resistenza al cambiamento, che viene sia dai rappresentanti del genere maschile che femminile.
L’ESPERIENZA DELLA DONNA
Il ruolo della donna è stato progressivamente svalutato nei millenni, si è messa a tacere attraverso il controllo, come “soggetto oggettificato”, si sono imposte politiche di restrizione di potere e di azione per rafforzarne la sudditanza. Ma in pochi decenni la donna è passata da assoggettata a soggetto, da proprietà a proprietaria, da consigliere a decisore…
La donna si è ritagliata nella storia gli spazi che meritava, ma questa possibilità in passato era limitata a chi, per “diritto di nascita”, aveva più possibilità d’azione, cosa preclusa alla maggioranza delle donne fino a pochi anni fa (e in molti contesti ancora ad oggi). Attualmente però il rischio di ripercussioni per l’acquisizione di un ruolo più adatto mette molte donne in uno stato di allerta e pericolo da possibili reazioni atte a riportare la situazione a stati precedenti (controllo sulle azioni e idee, restrizioni lavorative e sociali, ecc); tutte queste possibilità rendono la donna vittima, esperienza non sempre afferrata da chi ne sta subendo le conseguenze.
LA REAZIONE AL CAMBIAMENTO DIVENTA VIOLENZA
Cosa emerge quando si perdono possibilità d’azione o quando ci si trova a non poter agire le azioni come desiderate? Il denominatore comune è una delle manifestazioni dell’impotenza: la rabbia.
La rabbia, in quanto emozione, “impone” un’azione, spinge ad agire in maniera impetuosa per liberarsi dai vincoli, siano essi limiti alla libertà o alla volontà.
L’azione che appare conseguentemente più logica è la violenza così intesa:
“tendenza abituale a usare la forza fisica (o verbale, ndr) in modo brutale o irrazionale, facendo anche ricorso a mezzi di offesa, al fine di imporre la propria volontà e di costringere alla sottomissione, coartando la volontà altrui sia di azione sia di pensiero e di espressione, o anche soltanto come modo incontrollato di sfogare i propri moti istintivi e passionali” (Wikipedia)
Stalking, aggressione verbale (anche tramite internet) o fisica, discriminazioni sul lavoro o in altri contesti, violenza sessuale intra ed extradomestica, imposizione di regole stereotipate, battute sessiste o giustificazioni della violenza, fino alle mutilazioni genitali femminili e al matrimonio forzato, sono alcuni indici della presenza di violenza di genere in molti ambienti.
DALLA VIOLENZA AL FEMMINICIDIO
Quando ci si sente “alle strette” si può arrivare a reagire come un animale in gabbia, fino ad atti estremi:
il femminicidio ha una accezione precisa così riassumibile: un omicidio di una vittima femminile perpetrato “in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione di genere e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico della donna in quanto tale, fino alla schiavitù o alla morte” (Wikipedia)
Non importa se la morte sia voluta o meno, comunque questa spirale di violenza dovrebbe essere interrotta.
PROSPETTIVE FUTURE
Sensibilizzare, formare, intercettare e favorire la segnalazione e la denuncia sono alcuni passi da compiere per aumentare la visibilità e la prevenzione di ogni tipo di violenza di genere. Non sempre è facile notare all’interno di una relazione quali sono i segnali di violenza. Lo scopo non è alimentare la guerra tra generi, ma portare alla comprensione che la complementarietà e la collaborazione è la fonte a cui attingere.
ALCUNI COMPORTAMENTI TIPICI
- Aggressività verbale se non si rispettano regole e stereotipi di genere;
- Aggressività fisica: spinte, trattenute, urla, schiaffi, calci, toccamenti non desiderati né ricercati;
- Restrizione della libertà di relazione e azione, tramite la necessità di ottenere il consenso e approvazione;
- Impedimento o comportamenti atti ad ostacolare la crescita e lo sviluppo di interessi personali e lavorativi;
- Uso di stereotipi per confermare l’inadeguatezza o l’inferiorità;
- Giustificazione della violenza sulle donne;
- Controllo dei mezzi di comunicazione e delle relazioni.
Sitografia
Bibliografia
Norwood R. (2013). Donne che amano troppo, Feltrinelli
Bernardini De Pace, A. (2004). Calci nel cuore, Sperling e Kupfer
World Health Organization/London School of Hygiene and Tropical Medicine. Preventing intimate partner and sexual violence against women: taking action and generating evidence. Geneva, World Health Organization, 2010