Se fosse necessario scegliere una parola in cui racchiudere il vasto universo Queer, la parola sarebbe rivendicazione. Nata come insulto, diviene mezzo di riscatto e affermazione: richiama una ricca storia di lotte e cambiamenti, e condensa tutte le identità che rifiutano un’etichetta, o che sono rifiutate dal resto del mondo.

La nascita della parola queer

Di origine incerta, il termine queer mostra le sue tracce più antiche già nel Sedicesimo secolo. È indubbio, però, che non si tratti di un termine neutrale. Al contrario, la parola queer ricopre il ruolo di insulto e così sarà fin quasi alla fine degli anni Ottanta. Principalmente utilizzato in riferimento a uomini gay: strani, visibili, bizzarri e fuori dalle regole dell’eteronormatività, l’espressione viene rubata, svuotata, scomposta e riproposta. Non sarà più, d’ora in avanti, un termine subito, ma una definizione di sé affermata (a gran voce):

“We’re here, we’re queer, get used to it!”  

(“Siamo qui, siamo queer, fatevene una ragione!”)

“We’re here, we’re queer, we will not live in fear!”

(“Siamo qui, siamo queer, e non vivremo nella paura!”)

Se il viaggio fatto da questa parola sembra sorprendente fino ad ora, vediamo come – passando da catcalling ad urlo di protesta – sia migrata dalle strade fino al mondo accademico.

Queer studies

In ambito accademico i Queer Studies sono nati alla fine del secolo scorso, sviluppandosi di pari passo con i Gender Studies. Da subito si sono interessati ai processi attraverso cui le identità sessuali sono costruite all’interno della cultura contemporanea. Il loro obiettivo, infatti, è stato – ed è – quello di decostruire le convinzioni che plasmano il pensiero comune sulla sessualità, come quelle che reputano l’identità sessuale immutabile. Mettono in discussione i vincoli identitari del discorso dominante, in riferimento a orientamenti, ruoli, espressioni, e identità di genere. Sostengono che ogni persona possa ridefinirsi e raccontarsi in modo diverso, nel tempo: tutti i soggetti, così, hanno potere di autorappresentarsi, e non più di essere raccontati – e quindi squalificati – attraverso le voci altrui.

Ma i Queer Studies non solo questo: il loro aggiornamento è continuo, e i contributi che li arricchiscono variano moltissimo e, in alcuni casi, risultano addirittura in contraddizione tra loro. Proprio come i significati stessi attribuiti al termine.

Queer: un termine controverso

Generalmente, utilizzare la parola queer in riferimento a se stess* è una scelta consapevole. Non si tratta di un termine come un altro, non sempre è sinonimo di LGBTQ+ e chi sceglie di usarlo può farlo in netto rifiuto di ogni altra definizione tradizionale che riguarda l’identità sessuale.

Non a caso ha generato dibattito anche all’interno della stessa comunità: non solo è accusato di togliere specificità a genere e orientamento, ma, per alcun*, la sua connotazione non si è ancora del tutto liberata dallo sprezzante significato originario. Anche se, in considerazione del nostro contesto culturale e linguistico (italiano), non è del tutto semplice comprendere perché possa generare fastidio. 

A ogni modo, la parola viene oggi considerata, in molti casi, come un termine ombrello. Ovvero come un’espressione che accoglie al suo interno numerosi e diversi significati: può comprendere chiunque si discosti da una norma sessuale e/o di genere.

Un canone inverso

Le identità queer, quindi, sono quelle che non si sentono esclusivamente rappresentate dai concetti di mascolinità e femminilità, eterosessualità e omosessualità, come alternative binarie, opposte, e mutualmente escludenti. A descrivere meglio il loro sentire sono concetti come fluidità, sfumatura e versatilità: il cuore dell’essere queer è la possibilità di riposizionarsi e ripensarsi continuamente rispetto alla propria identità sessuale.

Se per anni la rivendicazione è passata attraverso la riappropriazione di etichette dispregiative, la diffusione del pensiero queer ha fatto sì che si creasse un’etichetta che le racchiudeva e rifiutava tutte allo stesso tempo: le rifiutava, andando al di là dei limiti imposti dalle definizioni; le racchiudeva, riscattando tutte le soggettività ritenute in precedenza anormali.

Il contributo del movimento queer e dei Queer Studies, infatti, è stato anche quello di opporsi alla tendenza nel suddividere le identità tra naturali (o normali) e innaturali (o anormali) sulla base del genere e della sessualità. Alcuni autori parlano della Queer Theory, infatti, come di un ironico e paradossale canone inverso[1]. Ponendosi criticamente nei confronti della gerarchia che vede le persone cisgender eterosessuali come la norma, ha dato visibilità a tutte le identità precedentemente considerate deviate e contro natura. Ed è questo che l’essere queer ancora oggi continua a celebrare: l’unicità di ogni persona, al di là dei canoni e norme.

Bibliografia

De Lauretis, T., (1991). Queer Theory: Lesbian and Gay Sexualities. An Introduction.  Differences: A Journal of Feminist Cultural Studies, 3(2), 3-18.

Pustianaz, M. (2004). Studi queer. In M. Cometa, Dizionario degli studi culturali (p. 441-448). Roma: Meltemi editore.

Arfini, E. A., & Lo Iacono, C. (2012). Canone inverso. Antologia di teoria queer, Pisa: Edizioni ETS.

Butler, J. (2013). Questioni di Genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità. Urbino: Editori Laterza.

[1] Arfini & Lo Iacono, 2012.