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27 Gennaio 2022Rispetto alla popolazione generale, le persone queer sono più a rischio di disagio psicologico e di psicopatologia. Questo è quello che molti studi ci dicono, con pochissime eccezioni.
In questo articolo parleremo di come e perché sia presente una maggiore vulnerabilità ai rischi per la salute mentale delle persone LGBTQ+, e delle risposte che esse mettono in atto. È possibile parlare anche di resilienza? E se sì, quali forme assume?
La salute mentale è uguale per tutte le persone queer?
È vero, le persone queer fanno tutte parte della stessa comunità, ma non mancano le specificità a distinguerle, anche nella loro salute mentale. Passiamo in rassegna le principali, individuate dalla ricerca:
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Uomini gay
È stato riscontrato che tra gli uomini gay ricorre un rischio più elevato di suicidio, così come maggiori probabilità di avere problemi di salute mentale. Gli uomini gay sperimentano maggiore insoddisfazione legata al proprio corpo, rispetto agli uomini eterosessuali, e tendono ad avere livelli più elevati di pensieri ricorrenti e intrusivi sulla propria immagine corporea.
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Donne lesbiche
Le donne lesbiche, d’altra parte, sembrano essere più inclini – rispetto alle donne etero – all’abuso di sostanze, oltre a essere maggiormente a rischio di disturbi alimentari e problemi legati alla propria immagine corporea.
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Persone bisessuali/pansessuali
Anche nel caso delle persone bi/pansessuali sono attestati rischi maggiori di disagio psicologico e problemi di salute mentale, in particolare di flessione del tono dell’umore (depressione o sintomatologia depressiva).
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Persone trans e gender non-conforming
Tra le persone TGNC (transgender e di genere non conforme) sono rilevati disturbi dell’umore e di ansia in percentuali significativamente più elevate rispetto alla popolazione cisgender.
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Persone BDSM
Le persone BDSM (acronimo per pratiche sessuali basate su bondage e disciplina, dominazione e sottomissione, sadismo e masochismo) – sulle quali esiste un numero più ridotto di studi, riportanti risultati controversi – sembrano, dai più recenti dati disponibili, meno inclini al disagio psicologico, raggiungendo livelli più alti di benessere soggettivo.
Che cosa sappiamo della salute mentale delle persone LGBTQ+?
Per correttezza, è bene specificare alcuni dei limiti della ricerca nell’ambito della salute mentale delle persone LGBTQ+.
Il più evidente sta nella grossa lacuna della ricerca sulle persone asessuali/aromantiche, che praticano BDSM e quelle bi/pan, tra le numerose identità trascurate. Le persone bi/pan, ad esempio, vengono spesso assimilate alle persone gay o lesbiche e sono raramente indagate attraverso campioni esclusivi.
Ulteriore limite, riguardante, ad esempio, le persone transgender, sta nel fatto che gli studi esistenti fanno spesso riferimento a campioni non rappresentativi, per lo più provenienti da gender clinics e/o da autoselezione.
I dati disponibili, in quanto incompleti e parziali, secondo gli esempi descritti e ulteriori limitazioni che non è possibile passare in rassegna in questo frangente, potrebbero, quindi, restituire un’immagine alterata della comunità queer. Consapevoli di ciò, è, comunque, opportuno considerare i risultati relativi ai maggiori fattori di rischio per la salute mentale delle persone queer e interrogarci sulla loro origine.
Perché le persone queer sono esposte a un maggiore rischio per la salute mentale?
Le ragioni di un più diffuso disagio psicologico tra le persone LGBTQ+ non sono connesse, di per sé, con l’essere una persona queer. La causa di questa maggiore incidenza non si trova nell’identità in sé: sono i fattori di rischio sociali e culturali a causare una maggiore vulnerabilità al disagio, così come le continuative esperienze di discriminazione a cui le persone queer sono esposte. Vediamone alcuni esempi:
→ I rischi per la salute mentale delle persone bi/pan sono riconducibili all’invisibilizzazione e alla cancellazione delle loro identità, spesso dimenticate o invalidate perché considerate incerte o incapaci di ammettere di essere omosessuali. Le persone bi/pan possono, inoltre, sperimentare una doppia discriminazione da parte sia di persone etero, che di persone gay/lesbiche, che le porta a essere, ad esempio, più vulnerabili alla depressione.
→ Le persone transgender sono esposte a numerosi fattori di rischio, dati da una maggiore esposizione alla discriminazione e alle micro-aggressioni, così come dalla frequente negazione della loro identità e conseguenti difficoltà relazionali. Anche le difficoltà di accedere o portare avanti un percorso di affermazione di genere possono avere un impatto significativo sulla loro salute mentale.
Quali sono le risorse delle persone LGBTQ+?
Benché la ricerca si sia a lungo focalizzata esclusivamente sui rischi per la salute mentale delle persone LGBTQ+, recentemente ha iniziato a considerare anche i fattori protettivi e le loro risorse, come la resilienza.
La resilienza è la capacità di affrontare, rispondere e riorganizzarsi a seguito di stress ed eventi traumatici. Nelle ultime riformulazioni del modello del Minority Stress, che descrive l’esperienza unica e aggiuntiva di stress propria delle minoranze, è stata considerata per la prima volta la resilienza, differenziata tra individuale, e di comunità. Se in passato l’attenzione è stata alle dinamiche e alle conseguenze sulle minoranze di discriminazione, stigmatizzazione e interiorizzazione di messaggi negativi legati alla propria identità, nella revisione del Minority Stress il focus è ben diverso. È stato teorizzato, infatti, che attraverso risorse individuali e supporto sociale le persone queer possano mitigare significativamente l’effetto dello stress per evitare o ridurre gli esiti negativi sulla salute mentale.
La ricerca ha evidenziato come potenziali fattori di resilienza:
→ a livello individuale:
- un forte senso di sé;
- un’alta autostima;
- bassi livelli di omo/lesbo/bi/transfobia interiorizzata;
- l’aver fatto coming out.
→ a livello interpersonale:
- il contatto e il senso di appartenenza alla comunità LGBTQ+;
- il sostegno della famiglia e della rete amicale;
- la presenza di una relazione intima stabile.
Nuove forme di supporto
Negli ultimi anni si sono verificati cambiamenti relativamente rapidi, sia all’interno della comunità che nel contesto sociale, in termini di conoscenza e atteggiamento verso le persone queer. Bastano una o due generazioni di distanza per imbattersi in persone che vivono in modo completamente diverso la propria identità sessuale.
Il dibattito pubblico, e così l’interesse collettivo sulle tematiche che concernono le persone LGBTQ+, sono ben più diffusi. I media stanno pian piano arricchendo l’immaginario comune di nuovi modelli di riferimento, dando la possibilità alle persone queer di rispecchiarsi, e, anche a chi non fa parte della comunità, di venir in qualche modo educat*. Senza contare che le risorse da cui ottenere informazioni e i servizi specifici sono diventati, nel tempo, più numerosi e accessibili. Per questo nelle giovani generazioni il senso di identità può assumere più facilmente un ruolo protettivo e intervenire nelle dinamiche di resilienza.
Oltre a questo, la ricerca si sta indirizzando sempre più verso l’individuazione delle risorse proprie della popolazione LGBTQ+, spostando gradualmente il focus dalla condizione di sofferenza, alle risposte ad essa, anche attraverso nuove possibili forme di supporto.
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